La sera precedente l’ Epifania, un po’ ovunque in questo grandioso anfiteatro pedemontano, si accendono i falò dando vita ad un suggestivo spettacolo.
E’ la sera del “panevin”, ultimo simbolo di una civiltà agricola scomparsa sotto l’incalzare dell’ odierna civiltà industriale. Il “panevin” culmina nell’ usanza “del brusar la vecia”, che simbolaggia l’ anno vecchio, spesso poco favorevole. Il rito era ricco di significati culturali. La “vecia”, simbolo malefico, si consumava bruciando e con essa scomparivano i germi delle disgrazie e la morte veniva espulsa dalla comunità. Non a caso erano i bambini stessi, simbolo della vita, a preparare il fantoccio.
Due mesi dopo il “panevin”, per dividere il lungo periodo di penitenza molto sentito nel passato, si celebrava la festa dei metà Qaresima con un secondo rogo della “vecia” esposta in anticipo nella piazza principale. Tra canti, suoni e schiamazzi veniva processata e condannata a morte prima dell’ esecuzione, però, nel far testamento, essa rivelava tutte le malefatte della collettività paesana.
La tradizione, che richiama ancora una volta gli antichi riti di eliminazione del male e dipropiliazione della fertilità, soppravvive oggi in rari centri del Trevigiano, tra cui Follina.
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